“La minuta comunità di Pontarno era sempre rimasta unita, almeno fino a quando il mio amico milionario non maturò la pessima idea di voler fare del bene”.
Inizia così “Il più buono del paese”, divertente e arguto romanzo del giornalista pisano Saverio Bargagna, pubblicato da Astarte. Un concentrato di debolezze umane, in cui il bene si rivela divisivo. Molto più del male. Una storia che si consuma in pochi giorni a cavallo della fine dell’anno, andando per accumulo, in un’iperbole che ti trascina fino all’ultima pagina. Surreale ma in fondo assai realistico, il romanzo si snoda attraverso un circo di personaggi in cui ognuno può trovare un pezzettino di sé. Magari quello più nascosto, di cui ci si vergogna un po’, ma che sottotraccia è sempre lì in agguato, pronto a prendersi la scena.
“Il più buono del paese” sarà presentato domenica 7 aprile alle 18.30 al porto di Marina Cala de’ Medici, evento clou della terza edizione di “Un porto di libri“. Ingresso libero.
Pontarno, una location immaginaria ma non troppo?
“E’ vero, è una location immaginaria ma anche il paese dove tutti noi viviamo, dove regnano le nostre virtù – ben poche quelle sottolineate nel libro – e i nostri difetti. Ho già fatto diverse presentazioni, sia in Toscana che fuori regione, è ogni volta il pubblico si è riconosciuto nel paese che io descrivo. Non solo. È il tipico luogo che tutti noi, come giornalisti, frequentiamo e raccontiamo da anni”.
Il romanzo ha tre chiavi di lettura. Quali?
“Il primo piano è quello della favola: il milionario che mette in palio 20 milioni. Poi c’è il piano dell’ironia, che attiene alla mia professione, quel dietro le quinte che non si può dire o a cui si può solo alludere in maniera più velata. È il mondo dell’apparire che gira intorno ai media. Infine, terzo piano: l’aspetto del bene e del male, quello più profondo, che rimane sempre sullo sfondo della vicenda”.
C’è Sudasodo, l’impiegato dell’anagrafe, il sindaco Cipensoio, il comandante della municipale Sanzionaonesti, il parroco Don Predicozzi, l’esperto di Comunicazione, Arturo Lavelina. E molti altri… fino ad arrivare a 32 personaggi. Per tu che sei abituato a fare cronaca, quanto è stato divertente scrivere e inventare?
“Scrivere è stato un gioco divertentissimo. Soprattutto, far parlare il leccapiedi – che è il narratore di tutta la storia – così strampalato e assurdo. Nei paesi tutti hanno il loro soprannome, e per me è stato l’escamotage per evitare tante descrizioni e dare subito l’idea del carattere del personaggio. Tra l’altro, il bello è che nessuno dei 32 personaggi è umile: ognuno pensa di essere il più buono del paese tanto da mettersi in fila. Una gara in cui emergono le debolezze umane che, da una parte, fanno sorridere, dall’altra fanno riflettere. Senza dimenticare che, sullo sfondo, c’è una riflessione che investe il mondo della comunicazione dove noi, inteso come giornalisti, ci troviamo spesso a bypassare la domanda sul bene/male chiedendoci solamente se scrivere una determinata cosa è legale oppure no”.
Ma davvero è così difficile fare il bene?
“Senza scomodare il Vangelo e San Paolo oppure Arendt – con la sua teoria sulla banalità del male – è evidente quanto i gesti d’amore siano più difficili da mettere in pratica rispetto al male, che a tanti di noi riesce benissimo”.
C’è un personaggio a cui ti senti più vicino o al quale ti sei affezionato?
“Mi rivedo in tutti e, forse, in nessuno. Ma voglio ‘ringraziare’ il leccapiedi narratore che mi ha permesso di divertirmi con monologhi completamente pazzi e scorretti. E poi, senza ovviamente rivelare il finale, anche lui in fondo ha una sua morale e profondità”.