Fino ai 21 anni, nell’azienda di vino della sua famiglia, emigrata in Francia dalla Spagna per fuggire dal Franchismo, Julian Renaud era sicuro che non avrebbe mai lavorato nel mondo del vino. “I miei facevano il vino perchè non sapevano fare altro, senza passione, senza conoscenza, e quindi senza risultati”. Adesso, quindici anni e un paio di giri del mondo dopo, ha scelto Riparbella (“o forse Riparbella ha scelto me”) per la sua azienda di vino ma soprattutto per la sua idea su come debba essere fatto il vino (con l’aiuto di mucche, api e poiane). Tre vini tutti in purezza e altri due in arrivo. Una cantina in progetto e una meravigliosa villa in ristrutturazione che sarà struttura ricettiva di lusso e ristorante, nelle mani dello chef Roberto De Franco.
Voglio fare un vino che sia riconoscibile. Preferisco dicano che non piace ma non voglio che lasci le persone indifferenti
Colline Albelle sorge su un poggio ai margini del territorio riparbellino: quaranta ettari, di cui 20 a bosco e 20 a vigna, ma solo una piccola parte oggi in produzione. Julian è l’anima dell’azienda. Giovanissimo, 35 anni, e appassionato, ci racconta la sua storia in cima alla collina che ospita uno dei primi vigneti che ha recuperato con l’aiuto di un gruppo di mucche (abbiate pazienza, vi spieghiamo tutto), dove fa le degustazioni, sotto un gazebo di cannicce e con dei ceppi di legno come sedute. Nascerà qui la cantina. Ed è quasi un peccato perchè questa è la degustazione perfetta per i suoi vini.
“Ho iniziato a studiare enologia perchè volevo viaggiare”. Quindi finiti gli studi, si è messo in viaggio. Da Carcassone, storica cittadina fortificata del sud della Francia, ha iniziato a girare il mondo. “Lavoravo come deckhand, cameriere e aiuto cuoco su yacht e cargo, poi mi fermavo sul continente e cercavo lavoro nelle cantine. Partivo offrendomi come enologo, ma più spesso finivo a lavorare gratis in cambio dell’alloggio”. Ma è così che ha scoperto quanto passione ci può essere dietro il vino.
SIAMO BIODINAMICI, E NELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO FINIAMO PER ESSERE A META’ TRA HIPPY E STREGHE, MA NON E’ COSì
Arrivato in California, per due anni è stato assistente enologo in una grande azienda della Napa Valley. Con la passione, arrivano anche i risultati. Grandi risultati. Così per lui è arrivata una proposta dal gruppo olandese che possiede anche Caiarossa, storica azienda vitivinicola riparbellina, come direttore di cantina. “Una bellissima esperienza. Mi ha permesso di conoscere la Toscana e Riparbella. Questo gruppo mi ha fatto crescere moltissimo”. Dopo 5 anni tra queste colline ecco che si imbatte negli ettari abbandonati che diventeranno Colline Albelle. “Il nome Riparbella lo deve alle argille bianche che ne caratterizzano il suolo. E’ anche questa caratteristica ad avermi convinto”.
E’ il 2018. “Ho fatto un progetto come se avessi i soldi, anche se non li avevo. Poi sono andato a proporlo a diverse persone e ho trovato due signore bulgare che hanno deciso di finanziarmi”. Così comincia l’avventura. Ma di lavoro ce n’è da fare parecchio.
non ho messo niente di nuovo. Lavoro con quello che c’è
Il vino di Colline Albelle è biologico e biodinamico. L’obiettivo è stato fin dall’inizio recuperare tutti i vigneti che c’erano. Così come prima cosa Julian ha comprato nove mucche a prezzo di macello e ha fatto pulire loro le vigne. E anche qualche capra, “loro mangiano anche i rovi”. Intanto i primi otto ettari, che nel 2020, sono tornati in produzione.
Anche le api collaborano. “Il sovescio con il trifoglio incarnato che permette di concimare le vigne e ha fatto sciamare le api, che tra l’altro sono indicatori di buona salute. Grazie a loro la biodiversità esplode. Ma ho dovuto mettere le arnie, per gestirle. Erano tre e in quattro anni sono diventate più di 50 perchè non prendo il miele. Devo riuscire a regolare un po’ la popolazione adesso” ammette ridendo.
Ma biodinamico non è hippy, tiene a precisare. Nè stregoneria. “E’ vero, usiamo solo prodotti naturali, non servono guanti o occhiali. Ma tutto si basa sull’equilibrio. Se ho 100 ettari non metto 100 ettari di vigna, sennò non c’è equilibrio. Alla fioritura del sovescio, che abbiamo appositamente seminato a ottobre, una parte della popolazione di insetti del bosco si sposta in vigna, occupando gli stessi nidi di quelli che mangiano l’uva, presenti anche loro. Questa crescita di tutta la popolazione di insetti crea un’equilibrio, dove non ci sono invasioni. Ovviamente c’è chi si mangia qualche grappolo, ma il costo di quello che mangiano è minore di quello che avremmo speso in trattamenti per eliminarli. Ed essendo in mezzo al bosco, abbiamo anche l’aiuto degli uccelli che mangiano quotidianamente il loro peso in insetti, mantenendo le popolazioni sotto controllo. Il ritmo della natura aiuta, non danneggia”. Ed ecco che entrano in gioco, ad esempio, anche le poiane. A Riparbella c’è un luogo chiamato il rifugio delle poiane. Questi rapaci d’estate volano sopra le vigne e cacciano gli uccelli che prima hanno aiutato a controllare gli insetti, ma che vicino alla vendemmia, potrebbero mangiare l’uva. “Questa è l’essenza del biodinamico”.
Racconta e stappa i tre vini di Colline Albelle. Tutti rigorosamente in purezza, altra particolarità. Per ogni particella, 1 vitigno, e quindi 1 vino in purezza.
La degustazione è come una meditazione, è soggettiva. La percezione cambia da persona a persona
Inbianco. Vermentino. “In Champagne ho lavorato con le basi spumanti: non sono bevibili ma sono molto delicati. Il mio obiettivo era raggiungere quegli aromi. In un’altra azienda dove ho lavorato, quando feci il mio primo bianco a 12,5 gradi, mentre loro lo facevano solitamente a 15°, il direttore mi disse ‘Ma chi ti credi di essere?‘. Ho rischiato il licenziamento per poi essere salvato da un tweet che lo definiva uno dei bianchi toscani più seri. Questo mi ha dato la forza per insistere, una volta per conto mio. Volevo una base spumante ma bevibile. E ancora mi dicevano, ‘Se non lo fa nessuno ci sarà un motivo…‘”. Inbianco di Colline Albelle ha 10 gradi, unico in Italia. Com’è? Assaggiatelo!
Inrosso. Merlot. “Il merlot tende ad essere ruffiano, il suo gusto finisce presto. Io volevo che lasciasse qualcosa in più, che fosse più distintivo”. Come? Con un particolare sistema di potatura Julian fa in modo di avere due tralci su otto del cordone speronato, sui quali i grappoli restano indietro, più verdi, e quindi più ricchi di pirazina, che lascia una nota di peperone. “Quel sapore il Melort lo prederebbe in maturazione, così invece lo mantiene e questo gli dà carattere, eleganza, un’identità forte“.
Serto. Sangiovese. “Una bella sfida. Qui volevo catturare la specificità, mantenere la linea ‘Albelle’ ma con un forte accento toscano. Il Sangiovese spesso tende un po’ ad asciugare. Così faccio un affinamento molto lungo in barrique, 30 mesi, l’amaro si riduce e guadagna in eleganza”.
Anche se la cantina e la sala degustazioni ancora non ci sono, Julian si presta con passione e entusiamo a raccontare i vini di Albelle e i suoi progetti, compresi i prossimi due vini che entreranno in produzione, altrettanto particolari. La villa è quasi ultimata, rifiniture elegantissime, affreschi e panorami mozzafiato. Dietro ogni prodotto, ogni azienda, c’è una storia. Ed è proprio quella storia a renderlo unico. Quella di Colline Albelle è un romanzo che saprà rapirvi, così come hanno fatto, con noi, i suoi vini (soprattutto il Merlot, confesso!).