La parola brutta è rimasta “l’ultimo tabù“.  Mentre ‘troia’ ormai è sdoganata, ripresa “con spavalderia, con incoscienza, facendo quello che ci va”, il concetto di ‘bruttezza’ no. “Nessuna donna lo rivendica con orgoglio, o volentieri”. Giulia Blasi almeno prova a farci i conti, con la sincerità di chi ha elaborato alla soglia di 50 anni una piccola, traballante, forma di consapevolezza. Nel suo ultimo libro racconta la storia del proprio corpo – imperfetto e inadatto – che è anche la storia di molti corpi. E di molte donne. “Per questo libro mi sono fatta a pezzi” dice. Partendo dai primi anni di vita, attraversando l’adolescenza fino ad arrivare alla menopausa. Il ‘mostro’ di cui nessuno ti avverte.

Brutta di Giulia BlasiLa presentazione di “Brutta. Storia di un corpo come tanti” (Rizzoli) alla Biblioteca Civica Falesiana di Piombino ha chiuso la rassegna “Donne al Centro”, organizzata dalla Commissione Pari Opportunità in occasione della Giornata Internazionale della Donna 2022. Un tutto esaurito e una diretta streaming ironica e graffiante, come la scrittura di Giulia Blasi. “Brutta” scardina le etichette, o almeno si pone quelle domande che sottotraccia ognuna di noi si fa quasi ogni mattina. “Perché mai un uomo può ‘essere brutto’ – magari calvo, con un naso prominente, occhi sporgenti – mentre alle donne è richiesto di rispettare precisi canoni estetici e di apparire sempre giovani e attraenti?”. In sintesi: “Omo de panza, omo de sostanza” o – come diceva Jerry Calà negli anni Ottanta: “Io non sono bello: piaccio”. Ma perché per le donne continua a non valere?

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MI CI SON RIVISTA, QUELLA SONO IO…

‘Mi ci sono rivista‘ è la frase che più mi sono sentita dire da quando il libro è uscito, dalla mia editor fino all’attivista Marina Cuollo, che hanno fisicità totalmente diverse dalla mia. Parlo di me, ma è la storia di tutte. Perché il punto è come riuscire a occupare spazio pur essendo brutte, o sentendosi comunque tali? Come occupare spazio fottendosene?”. Difficile, forse quasi impossibile. Sicuramente faticoso. Giulia Blasi lo sa. “Nel club delle brutte io ci sono entrata ufficialmente in adolescenza, l’ho capito dalla risata di Alex, il ragazzino per il quale avevo preso una cotta tremenda. Ma in fondo ero lì dentro anche prima. Un angolo che ho deciso di arredare, senza tentare di uscirne”. “Una battaglia non richiesta” in perenne movimento.

Brutta di Giulia Blasi“A quante di noi è successo di sentirsi dire: stai zitta cessa! Brutta lo si dice ad una donna per ferirla, per rimetterla al proprio posto, per umiliarla. Se sei brutta qualunque tu dica è in qualche modo motivata dal fatto di essere brutta e insoddisfatta, c’è una delegittimazione della tua parola. Se non sei abbastanza bella oppure troppo bella il tuo ruolo diventa tacere, soddisfare, decorare, figliare e servire. Alfred Hitchcock non avrebbe scritto nulla senza Alma ma di lei oggi si ricorda solo che fosse sua moglie. Una vecchia storia che si ripete”.

Brutta di Giulia BlasiPoi c’è tutto il capitolo body positivity, un altro peso sulle spalle delle donne: “Il movimento quando è nato – dice Giulia Blasi – aveva una ragione di essere. Erano gli anni Sessanta, in America, e la sua è una storia onorevolissima a valle di un periodo in cui le donne si sottoponevano ad ogni sorta strumento di tortura per avere la figura che gli altri volevano per loro. Che poi è la stessa tortura che oggi torna con le famose guaine sul red carpet. In ogni caso, il concetto di body positivity nel senso di liberazione di corpi non conformi alla fine è stato mangiato dal capitalismo, viene usato per venderci prodotti, vestiti, servizi, ricette del benessere. Ha a che a vedere con tutto tranne che con lo star bene. Ci genera insicurezza e ti urla ‘ti devi amare!’. Ma noi non dobbiamo doverci amare per forza”.

Dobbiamo solo vivere. Da belle, da brutte, a seconda di come ci va

Per saperne di più su “Brutta” di Giulia Blasi e altri libri https://www.giuliablasi.it/