11 febbraio, Giornata Internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza.
E viene da pensare che siano come una specie rara e che quindi va protetta. Come se fossero “strane”. E allora scegliamo di raccontarne una che strana non lo è affatto, a meno che per strana non si intenda eccezionale nel senso letterale del termine. Si chiama Alice Antonelli, ha 24 anni, è pilota, costruisce aerei (sì, aerei sui quali poi vola), ha una laurea in Ingegneria Spaziale e una magistrale in Ingegneria Aeronautica, uno stage all’Esa (European Space Agency), la sua firma su un sistema in corso di brevettazione per evitare che un velivolo prenda fuoco al momento dell’impatto con il suolo in caso di incidente.
Le abbiamo chiesto di inaugurare la nostra campagna, una chiamata alle donne a suon di
#misentobellaquando
Alice, ma perchè secondo te le altre ragazze non smontano motori?
“Forse perchè non hanno avuto un padre, o una madre, che hanno smontato motori insieme a loro”.
Alice io l’ho conosciuta che di anni ne aveva 18. La intervistai per La Nazione in occasione della sua vittoria nel concorso promosso dall’agenzia spaziale europea Esa, ‘Youth for space challenge’, con un progetto da lei ideato e realizzato: aereo monoala collegato ad un pallone sonda che può registrare qualunque tipo di dati, dalle analisi meteo all’inquinamento alla conformazione topografica. Raccontai della sua passione per il volo e gli aerei e di quando, adolescente, si presentò al club di aeromodellismo chiedendo che le insegnassero a costruire un aereo.
Montescudaina, la ritrovo sempre qui, a casa con i genitori, ma da allora ne ha aggiunte di pagine al suo curriculum. Gli occhi grandi e azzurri sono sempre gli stessi, così come l’entusiasmo con cui racconta quello che fa. Ti fa venire in mente un fiume in piena, qualcosa che non sta mai fermo. E snocciola termini tecnici come se fosse la cosa più naturale del mondo. Dopo il liceo Fermi ha scelto Ingegneria Aerospaziale, “una scelta di cuore”, con l’ambizione ma anche la paura per un percorso non semplice. Poi Ingegneria Aeronautica e la laurea con 110 e una tesi che è stata la base per il sistema che adesso è in fase di brevettazione.
“Mi sono resa conto che quando parlo di velivoli ultraleggeri, l’idea comune è che siano pericolosi perché ‘vengono giù facilmente’. Ed è un pensiero che limita il settore. Ho trovato una report che analizza le cause della morte dei piloti e passeggeri: e non è l’impatto come si potrebbe pensare ma l’evento successivo, le ustioni e le intossicazioni da fumi perché i velivoli prendono fuoco”. Problema, soluzione. “Quindi ho studiato un sistema per far sì che il velivolo non prenda fuoco, cambiando la prospettiva usata finora e quindi non agendo sul sistema di alimentazione ma sul sistema strutturale“. Uno studio che è già diventato un prototipo e un’azienda interessata con la quale sta collaborando.
Nel frattempo Alice è pure diventata pilota di ultraleggero. E vola. E sta costruendo un aereo. Anzi due. Ci sta lavorando insieme a suo padre, “ancora un annetto e poi credo che ci saremo. Di uno abbiamo ultimato la la strutture in legno d’abete, stiamo lavorando alla parte meccanica, al motore. E intanto mi sono divertita a disegnare la livrea”. Tutto sotto la sorveglianza del CAP Club Aviazione Popolare, un sodalizio di autocostruttori.
Finita l’Università, è tempo di entrare nel mondo del lavoro. Tempo di invio curriculum e colloqui. Di possibilità, chiaramente, ne ha molte. E’ nella fase finale delle selezioni per una posizione di ingegnere aeronautico per una multinazionale che ha sede in Inghilterra. Erano in migliaia, sono rimasti in trenta. Poi c’è lo stage in Esa da fare e già la candidatura per un posto di lavoro, in una delle sedi europee, Germania, Olanda o Belgio. E c’è una piccola azienda di Livorno, che realizza sottomarini e camere iperbariche, con cui sta iniziando una collaborazione.
Alice è tutto meno che un maschiaccio. “Io mi sento femminile”. E lo è. Anche se si trova quasi sempre a confrontarsi in ambiti prettamente maschili. “Nel mio corso di laurea su una quarantina le ragazze erano tra 5 e 10. Più 5 che dieci”. E anche ora, quando si parla di lavoro, è un mondo di uomini. “Ma io non mi sono mai scontrata con la diffidenza. Ho sempre trovato anzi persone che mi ammiravano per la mia passione e dedizione”.
Alla fine quando parli di tecnica, conta quello che sai, le competenze che hai. E comunque mi sono sempre difesa bene
E quanto è bello sentire una donna consapevole delle proprie capacità. “Mi sono laureata in 4 anni e mezzo con 110. Ho fatto un percorso eccellente, ingiustizie non ne ho mai subite. Mi confronto con uomini adulti che hanno esperienza e lì mi rendo conto che di strada ne ho da fare, perchè arrivo da un percorso soprattutto teorico. Ma è una questione di età, non di genere”.
Ma perchè ci sono così poche donne nel settore dell’ingegneria meccanica? “Credo sia un problema culturale. Una ragazza vede un motore ma non pensa a smontarlo, a sporcarsi le mani. Invece è mettendo mano che scopri una passione. Non so perché le ragazze non smontino motorini, forse perchè i loro padri, o le loro madri, non li hanno mai smontati insieme a loro”.