“Tu chiamale se vuoi, emozioni” cantava Battisti.
Esperienze interne che conosciamo tutti, esperienze complesse che hanno un ruolo importante nella nostra vita, ci influenzano quando dobbiamo prendere una decisione, ci capita di agire in modo inconsapevole spinti proprio da un’emozione, di reagire in modo automatico attivati proprio da una spinta emotiva, le emozioni sono nostre amiche quando le consideriamo piacevoli o nemiche quando diventano scomode e spiacevoli.
Ma che cosa sono le emozioni? E a che cosa ci servono?
Le emozioni sono un modo rapido e non verbale di comunicare con gli altri e con l’ambiente che ci circonda, sono configurazioni neuro affettive fondamentali per la nostra esperienza e hanno uno scopo evolutivo. Possiamo distinguerle in due grandi macroaree: le emozioni di base, fondamentali per la nostra sopravvivenza, paura, tristezza, gioia, rabbia, disgusto e le emozioni secondarie, quelle che si sviluppano grazie all’influenza dell’ambiente e della cultura in cui viviamo.
Esistono sequenze tipiche di emozioni che si configurano in quelli che sono stati chiamati, nel lavoro dello psichiatra e psicoterapeuta Gianni Liotti, I Sistemi Motivazionali. Una motivazione è sentire il bisogno di qualcosa e quando sentiamo il bisogno di qualcosa noi ci attiviamo per raggiungere lo scopo e soddisfare quel bisogno.
Perchè non riusciamo ad uscire dalle emozioni spiacevoli? Perchè insistiamo su cose irrealizzabili?
Ma allora se tutte le emozioni sono utili per la nostra sopravvivenza e il soddisfacimento dei nostri bisogni, allora perché quando proviamo emozioni spiacevoli stiamo così male e diventa difficile uscirne e andare verso una più ampia realizzazione di sé? Perché insistiamo su qualcosa che sembra irrealizzabile?
Rispondere a questa domanda è dare uno spunto di riflessione per vedere, ognuno su di sé, quale bisogno si è attivato e quindi a quale bisogno si sta cercando di dare appagamento.
Come si fa?
Possiamo qui iniziare a mettere da parte qualche strumento di lavoro. Questa volta è uno strumento cognitivo, facendoci qualche domanda mirata. Possiamo ad esempio fare un CESPA, secondo sempre gli studi di Liotti. Prendiamo allora come riferimento un episodio che ci è realmente accaduto, una specifica situazione che abbiamo vissuto e possiamo iniziare a chiederci: (Contesto) Dove ero? (Emozione) Quale emozione sentivo in quel momento? (Sensazione) Quale sensazione fisica sentivo nel corpo? (Pensiero) Quali erano i pensieri in quel momento? (Azione) Che cosa ho fatto o avrei voluto fare?
Osservare e riconoscere il modo in cui stiamo in un particolare contesto è il primo passo che ci permette di autoregolarci, cioè di essere più calmi e centrati, più presenti a noi stessi e ci permette anche di comunicare, potendoci aprire a uno scambio relazionale e affettivo, dove è in gioco la vicinanza reciproca con gli altri significativi per noi.
REGOLA NUMERO 1: IMPARARE A RICONOSCERE LE EMOZIONI
È così importante riconoscere le emozioni e individuare la nostra precisa esperienza perché quando facciamo fatica a riconoscere le emozioni il nostro mondo diventa meno ricco di sfumature: se sappiamo dare un nome a un’emozione e capire meglio la nostra esperienza allora siamo più padroni di noi stessi e anche le nostre relazioni si possono arricchire. Saper riconoscere le emozioni ci tranquillizza, ci dà calma e maggiore fiducia.
Possiamo allora ricordarci che le emozioni non sono esperienze isolate che riguardano solo quello che sentiamo, ma sono mondi complessi, fatti di sensazioni fisiche, affettive, cognitive e relazionali. E un mondo così complesso non si chiude con un solo articolo, incontreremo presto gioia, paura, disgusto e tristezza. Non necessariamente in questo ordine.
Giada Perini è psicologa, laureata in Psicologia Clinica e riabilitazione e in Filosofia, psicoterapeuta in formazione presso la Scuola di specializzazione Cognitivo-Evoluzionista (ecco come l’abbiamo conosciuta!). A lei abbiamo chiesto di tenere una psicorubrica su Emozioni e Relazioni
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