Va dove ti esplode il cuore, canta Vasco Brondi.
“Se un giorno mi accorgo che la vita mi va stretta allora cambio tutto”. Così pensava Laura, nome di fantasia, quando aveva 22 anni. Mi parlava, in studio, ormai 35enne dei viaggi che aveva fatto on the road tra i 20 e i 30. E a me viene in mente quella frase di quella canzone. Laura però ne parlava con nostalgia, senza gioia, sembrava contattare solo uno stato di tristezza nostalgica che non le permetteva di accedere di nuovo a quella parte di lei che a 22 anni gridava “va dove ti esplode il cuore”.
Che cosa succede quando non ci rendiamo conto che la vita ci sta stretta? Che cosa succede se non ci accorgiamo che viviamo la nostra vita presente e costruiamo quella futura sulla base di aspettative che non rappresentano quelle parti di noi che vogliono vivere con gioia e esplorare le possibilità?
Moltissime persone sentono una profonda esigenza di cambiare, ma è così difficile capire quando è arrivato il momento di dire “basta” e riuscire ad accedere a quelle parti di noi che ci permettono di vivere con maggiore vitalità la nostra esperienza.
Quando accade che la nostra vita quotidiana si mantiene in quello che conosciamo, che non ci fa stare troppo male ma neanche davvero bene, allora potremmo essere in quel territorio che viene definito come Comfort zone, la zona di comfort. A me piace chiamarla al plurale, perché le zone di confort sono spesso più di una e corrispondono a quelle parti del Sé (a quegli aspetti di noi stessi) che pensano voler rimanere in una situazione abbastanza sicura ma dove non c’è possibilità di crescita.
Le zone di comfort sono come delle parti di noi stessi che dicono “stai qui, non ti esporre”, oppure dicono “se vai là è pericoloso, magari ti sentirai in imbarazzo”, o ancora “hai troppa paura per cambiare”. È come se oscillassero tra la paura e il coraggio. Il coraggio di cambiare. Ma non a tutti i costi.
Queste parti interne (si potrebbe parlare anche di diversi “stati mentali” interni) costruiscono pensieri generici che portano con se l’emozione della paura e mantengono in uno stato di inibizione il sistema esploratorio che invece mi piace pensarlo correlato al coraggio. Si tratta di quel sistema così importante quando siamo bambini e dobbiamo iniziare a camminare per conoscere il mondo circostante, così importante da adolescenti per individuarci, ribellarci e differenziarci dagli altri e così importante da adulti per fare esperienze arricchenti che favoriscano lo sviluppo delle nostre potenzialità personali al fine di avere una vita più soddisfacente, più coraggiosa.
Allora noi ci troviamo in una situazione del genere, non stiamo troppo male nella nostra situazione di vita, ma non siamo felici. Abbiamo paura o forse se è più lieve un vago timore di cambiare le cose. Si può anche attivare quell’emozione di colore grigiastro che potremmo chiamare apatia e non riusciamo ad accedere a quella spinta motivazionale che ci permette di valicare il confine per aprirci al mondo e alla vita. Se la paura aumenta troppo e il coraggio si inibisce allora entriamo in protezione e chiudiamo la nostra esperienza in zone di confort sempre più strette. Fino a sentirci in gabbia, sentirci soffocare o sentirci spenti.
Ricordiamoci però che l’oscillazione tra coraggio e paura è naturale, è normale che avvenga e che non dobbiamo lasciare né che la paura prenda il sopravvento ma neanche che il coraggio ecceda, esponendoci a rischi troppo elevati per noi.
E allora che cosa possiamo fare?
Da un punto di vista clinico la prima cosa che mi sembra utile è avviare un processo di consapevolezza, renderci conto di dove siamo e come siamo. Il come è molto importante. Come sta il nostro corpo? Come si sente? Ci sono delle contrazioni? Dei blocchi percepiti come una difficoltà a respirare, un peso al petto, una contrazione allo stomaco? Le spalle sono contratte? Cosa succede alle nostre gambe? Ci sentiamo sostenuti o ci sembra di non riuscire a fidarci dei nostri piedi?
Partire dalla consapevolezza corporea ci aiuta a prendere coscienza della situazione. Poi possiamo fare il passo numero due. Con gentilezza ma con determinazione, con un’intenzione ferma e orientata andiamo a dare attenzione a quei blocchi, andiamo a portare attenzione al nostro corpo e magari poggiando una mano sul petto andiamo a confortare il cuore, con una mano sull’addome andiamo ad ammorbidire le contrazioni del diaframma, con un respiro profondo andiamo a dare di nuovo movimento interno alla gola, al petto e alla pancia, possiamo sentire l’aria che come un’onda attraversa il corpo. E ancora, stando in piedi possiamo dire a noi stessi che siamo sulle nostre gambe, che i piedi ci sostengono. Anche quando è difficile, anche quando non vediamo una possibilità. Con gentilezza e con determinazione.
Poi abbiamo il passo numero tre. Ci chiediamo se è cambiato qualcosa nella nostra esperienza corporea e a partire da quel nuovo stato psicofisico possiamo chiederci che cosa faremmo oggi se il nostro corpo fosse energico e aperto, disponibile a nuove esperienze. E da lì scegliamo.
Uscire dalle zone di confort non è qualcosa che va fatto a prescindere, va fatto con uno scopo, con una motivazione che ci sostiene. Che ci da la direzione. Ma per andare “dove ci esplode il cuore” credo che il nostro cuore dobbiamo imparare a sentirlo e dargli attenzione, dobbiamo imparare ad attivare quella parte di noi che naturalmente ci ha aiutato a esplorare nella nostra vita. Non tutti dobbiamo fare i viaggi on the road, ognuno può trovare la sua soluzione per uscire dalla zona di inibizione ed entrare nella zona di sviluppo.
Ma ricordiamoci che le zone di comfort non sono da eliminare. Possono essere il nostro luogo al sicuro, il luogo in cui torniamo quando ci sentiamo feriti, stanchi, stressati e che ci aiutano a curarci le ferite, o semplicemente a ricaricarci un po’.
Ricordiamo che l’oscillazione tra paura e coraggio è naturale. È normale avere paura di fallire o paura di esporci. Ma queste sono delle parti di noi che dobbiamo ascoltare e rispettare, ma poi anche costruire altre possibilità interne, come quella sicurezza sufficiente in noi stessi e quella fiducia sufficiente per tornare a vivere più pienamente il nostro cuore e i suoi scopi, unendoli a quelli della nostra mente e dei nostri desideri di vita. Accettando anche il rischio che qualcosa vada come non ce lo aspettavamo, ma allora possiamo tornare un attimo nel nostri luoghi al sicuro, per poi ripartire e andare dove ci esplode il cuore.
Giada Perini è psicologa, laureata in Psicologia Clinica e riabilitazione e in Filosofia, psicoterapeuta in formazione presso la Scuola di specializzazione Cognitivo-Evoluzionista (ecco come l’abbiamo conosciuta!). A lei abbiamo chiesto di tenere una psicorubrica su Emozioni e Relazioni
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